Affitti brevi, i cambiamenti imposti dal covid nel 2021 e le aspettative per il 2022

È molto probabile che il 2021 verrà ricordato come un anno di grandi cambiamenti ormai acquisiti e di altrettanto grandi opportunità da non perdere e che andranno sviluppate nel 2022.

Abbiamo delle certezze: ad esempio ben sappiamo che il mondo degli affitti brevi può contare su un bacino di circa 6,3 milioni di immobili inutilizzati (seconde case o case disabitate, dati ISTAT) che possono essere riattivate ed immesse nei circuiti degli affitti a breve termine, che — come previsto dal Codice civile — vanno da una a ventinove notti.

E siamo in grado di affermare con certezza che, nel 2021, il modo di viaggiare sia cambiato e, più esattamente, che siano cambiate le abitudini dei viaggiatori. Del resto, il cambiamento era già in atto prima del Covid con un incremento delle notti prenotate nelle case piuttosto che in hotel grazie alla maggiore disponibilità di spazi e privacy ma anche a plus strategici, da cui non si può più prescindere, come il miglior funzionamento del wi-fi, visto che ormai siamo connessi 24 ore su 24.

I cambiamenti imposti dal Covid

Con l’esplodere della pandemia e, purtroppo, con la consapevolezza che abbiamo dovuto acquisire tutti ogni giorno rispetto al fatto che — almeno per un po’ — dovremo imparare a conviverci, questo trend è andato ad aumentare con l’innestarsi del fenomeno che l’Ufficio Studi di Italianway aveva rilevato già all’inizio dell’estate 2020: l’holiday working, ovvero gruppi di amici e famiglie che prenotano per periodi lunghi per lavorare e studiare nello stesso tempo. Il 34% delle notti vendute nell’estate 2021 sul portale Italianway ha avuto questa destinazione, fenomeno che peraltro ha indotto l’attivazione di location secondarie in regioni — come le Marche, il Molise o l’Abruzzo — o aree — come l’entroterra sardo — tradizionalmente fuori dalle rotte turistiche più classiche.

Un altro fatto certo è che se a gennaio 2020 c’erano circa 750mila case promosse online su varie OTA come Booking, Airbnb, Expedia e VRBO, dopo l’estate 2021 questo numero si è assottigliato fino a scendere a quota 455mila. Vista la riduzione drastica di turisti stranieri, molti proprietari hanno infatti preferito tornare ai tradizionali contratti di affitto 4+4 da cui erano scappati per rischi di morosità degli inquilini e per mantenere la disponibilità della propria seconda casa.

Altro elemento di riflessione interessante è che con la digitalizzazione della distribuzione sono aumentati i competitor, e che però la vera concorrenza arriva dai proprietari singoli o dai gestori amatoriali che affittano in modalità sommersa anche più case senza versare l’IVA e farsi carico degli adempimenti e del versamento della cedolare secca. Prassi deprecabile che speriamo l’introduzione delle Banca Dati ma soprattutto i controlli che da tempo dovevano essere messi in campo contribuiscano a far cessare.

Opportunità per il mercato italiano e le occasioni da non perdere nel 2022

Nel frattempo nel mondo sono nati grandi player dell’ospitalità in casa che gestiscono migliaia di posti letto. Anche l’Italia può e deve giocare la sua partita e scendere in campo con le aziende di casa nostra, e ce ne sono almeno tre, che hanno superato le 1000 unità gestite e che non hanno nulla da invidiare in termini di valore e modelli di business ai colossi internazionali.

Il tutto mentre la Commissione Europea ha deciso di dotarsi di strumenti per avviare un processo di regolamentazione sovranazionale nello spirito di armonizzare le normative nazionali per garantire una coesistenza pacifica tra le comunità, le famiglie che hanno investito o ereditato immobili messi a reddito e gli operatori professionali.

Quale può essere dunque la ricetta per consentire una pacifica coesistenza tra i vari soggetti interessati? Proviamo a proporre qualche punto di riferimento:

  • una normativa europea che definisca un modello unico di registrazione degli alloggi destinati agli affitti brevi, senza autorizzazione, senza costi, e in modalità completamente digitale, possibilmente con un unico software e database comunitario;
  • la semplice registrazione deve poter consentire agli Stati di identificare se l’alloggio è gestito da un privato o da un operatore professionale e su questa base definire diversi gradi di adempimenti (sempre gestibili in modalità digitale);
  • le caratteristiche degli alloggi devono essere chiare, definite, uguali per tutti e stabili nel tempo (mq minimi, bagni, dotazioni, ecc.);
  • i flussi di denaro vanno tracciati e i dati incrociati
    tempestivamente dalle autorità tributarie per identificare subito i trasgressori ed evitare concorrenza sleale tra chi paga le tasse e chi no;
  • gli Stati devono erogare sanzioni ai trasgressori sulla base di un sistema chiaro e uniforme di regole;
  • i processi di verifica dell’identità degli ospiti e di trasmissione dati vanno uniformati a livello europeo ed i property manager devono essere riconosciuti come una categoria professionale visto che sono sottoposti ad adempimenti importanti come riscuotere l’imposta di soggiorno o agire da sostituto d’imposta, tanto per citarne un paio.

Il punto di vista degli operatori professionali è che la gestione organizzata di un certo numero di immobili crea delle imprese in territori spesso secondari, contribuisce alla creazione di molti posti di lavoro e spesso alla nascita di nuove destinazioni migliorando la qualità dell’offerta e attirando tipologie di ospiti nuove e diverse dalle precedenti. L’auspicio per il nuovo anno è che proprio alla luce degli elementi emersi nel 2021 e passati in rassegna in questo approfondimento, le Istituzioni competenti, nazionali e comunitarie, ne tengano conto.