Indice dei contenuti
- Art. 6 della riforma del catasto
- Cosa prevede
- Cosa accadrà dal 2026
- Le parole di Draghi
- Riforma del catasto e Imu
- Cosa cambia rispetto ad oggi
- PNNR
La riforma del catasto 2022 è diventata ormai il pomo della discordia del governo Draghi, al punto da far tremare (e più di una volta) la maggioranza. Ma cos’è questa riforma del catasto prevista dall’articolo 6 della delega fiscale, cosa prevede e cosa cambia rispetto all’attuale classificazione degli immobili?
Art. 6 della riforma del catasto
L’articolo 6 della delega fiscale, quello che contiene la riforma del catasto, è in realtà uno schema generale, che definisce le linee generali della riforma del catasto che dovrà poi essere messa in atto da una serie di decreti legislativi.
«L’articolo 6 reca la delega al Governo per l’adozione di norme finalizzate a modificare il sistema di rilevazione catastale degli immobili, prevedendo nuovi strumenti da porre a disposizione dei comuni e all’Agenzia delle entrate, atti a facilitare l’individuazione e il corretto classamento degli immobili. La norma indica altresì i principi e i criteri direttivi che dovranno essere utilizzati per l’integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati (da rendere disponibile a decorrere dal 1° gennaio 2026). In particolare tale integrazione dovrà attribuire all’unità immobiliare un valore patrimoniale e una rendita attualizzata, rilevati in base ai valori di mercato, anche attraverso meccanismi di adeguamento periodico. Per le unità immobiliari riconosciute di interesse storico o artistico sono, inoltre, da introdurre adeguate riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario considerati i più gravosi oneri di manutenzione e conservazione. Tali informazioni non dovranno essere utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi derivanti dalle risultanze catastali né, comunque, per finalità fiscali»
Cosa prevede
Si tratta in realtà di una riforma in due fasi. La prima fase della riforma del catasto, prevede nuovi strumenti a disposizione dei Comuni e dell’Agenzia delle Entrate per far emergere i terreni e gli immobili fantasma attualmente non censiti dal catasto. Allo stesso modo verranno accatastati in maniera corretta tutti i terreni edificabili ora accatastati come agricoli e tutti gli immobili abusivi.
Cosa accadrà dal 2026
La seconda fase è quella che preoccupa la destra perché vede in essa un possibile aumento delle tasse immobiliari. Nella seconda fase, che dovrebbe partire dal 1º gennaio 2026, i dati raccolti dall’Agenzia delle Entrate dovrebbero essere resi disponibili per la creazione di un nuovo sistema catastale, in integrazione a quello già esistente. Il nuovo sistema dovrebbe contenere per ogni unità immobiliare un valore patrimoniale e una rendita attualizzata che deve tenere conto dei valori del mercato.
Le parole di Draghi
La lotta intestina tra i partiti di maggioranza con la destra schierata per l’abrogazione della riforma del catasto e la sinistra ad appoggiare il governo, ha costretto Draghi ad intervenire. «Si esclude in modo esplicito che la mappatura possa produrre un aumento di tassazione, un aumento delle imposte dirette, un aumento delle imposte indirette sui trasferimenti immobiliari, un aumento dell’Imu»
«L’introduzione dell’Ici, l’abolizione dell’Ici, l’introduzione dell’Imu, l’introduzione della Tasi, l’abolizione della Tasi, sono state fatte sempre, sempre su valori inesistenti, che non hanno senso, su valori di 33 anni fa. Applicare un coefficiente fisso su valori che non hanno senso per produrre numeri che non hanno senso, deve finire: vogliamo trasparenza»,
Riforma del catasto e Imu
Nella riforma del catasto non vi è nessun accenno a un possibile innalzamento dell’Imu, né tanto meno di un ritorno dell’Imu sulla prima casa
Cosa cambia rispetto ad oggi
Il cambiamento più importante e l’obiettivo principale della riforma del catasto è quello di eliminare le attuali sprequequazioni del catasto ed aggiornare il valore catastale al reale valore degli immobili. Ad oggi infatti circa un quarto delle case ha un valore catastale che corrisponde a meno del 26% del valore reale di mercato. Al contrario, un quarto dei proprietari paga un conto appesentito fino all’81%. Le cause sono molteplici, ma riguardano soprattutto il mancato aggiornamento dei valori catastali attributi dal 1939 al 1962 e rivisti solo nel 1990.